Il Teatro della Società, questo era il nome originario, aprì i battenti nella stagione di Carnevale del 1809. Nacque sull’onda di una competizione tra città alta e città bassa: avrebbe dovuto rivaleggiare con il Teatro Riccardi (l’attuale teatro Donizetti) per restituire alla città alta quella supremazia che il nuovo teatro di città bassa le insidiava. Costruito grazie all’interessamento di un folto gruppo di nobili bergamaschi, il Teatro Sociale fu attivo, con alterne fortune, fino agli anni Venti del Novecento. Le sorti successive furono un riflesso del declino di Città Alta come centro propulsore della vita sociale e culturale di Bergamo. Il restauro e il recupero del teatro alla destinazione originaria attestano oggi una nuova centralità di Città Alta, e l’ormai raggiunta integrazione di entrambe le entità cittadine: la città antica e i borghi cresciuti alle sue falde.
Del progetto per il nuovo teatro fu incaricato Leopoldo Pollack, allievo del Piermarini. Pollack decise per un teatro all’italiana con più ordini di palchi, che realizzava l’esigenza di visibilità pubblica delle classi aristocratiche e dei loro rapporti gerarchici. Quanto all’impianto della platea, Pollack scelse di non ripetere la pianta a ferro di cavallo dominante a quel tempo, optando invece per una più ricercata ed elegante forma ovale di stampo francesizzante. L’abbinamento di questa forma con lo sviluppo verticale dei palchi costituisce forse l’aspetto più originale del progetto.
Gli 86 palchi sono distribuiti su tre ordini sovrapposti, sui quali insiste un quarto ordine di loggione. Pollack progettò i parapetti lignei dei palchi secondo una linea continua, come Piermarini aveva fatto per la Scala; essa dà risalto alla dimensione orizzontale degli ordini di palchi (rispetto a quella verticale evidente invece nella sezionatura a balconcino derivata dal modello del Bibiena), e conferisce alla forma complessiva della sala una armoniosa uniformità di impronta classica. I parapetti lignei erano ricchi di decorazioni policrome, spesso sgargianti, come i colori delle pareti interne ornate talvolta anche con finti marmi, e in contrasto con i materiali poveri della pavimentazioni e delle volte a calce.
Pollack poté solo in parte adottare le nuove strategie che si andavano diffondendo in quegli anni: impossibilitato dalla strettezza di via Corsarola a corredare l’edificio di facciata monumentale, portico, colonnato o quant’altro avrebbe permesso di identificare un teatro a colpo d’occhio – e l’esempio è di nuovo la Scala di Piermarini – egli dovette accontentarsi di una facciata elegante sì, ma senza soluzione di continuità con i palazzi limitrofi. Solo gli elementi decorativi, attinenti al mondo delle arti teatrali, attestavano la sua natura di luogo deputato a pubblici spettacoli.
Le difficoltà del Sociale, verso la fine dell’Ottocento, divennero l’emblema di quelle della Città Alta. Le sporadiche aperture davano solo una parvenza «di quella passata vita, che una forza infrenabile, prepotente ha spinto altrove», come chiosava il giornale locale nel dicembre 1878. Già durante gli anni austriaci la costruzione dei propilei di Porta Nuova e della strada Ferdinandea, ma soprattutto della stazione e del relativo collegamento ferroviario con Milano (1857), costituivano altrettante tappe dell’emancipazione della Città Bassa, coronate nel 1872 col trasferimento del Municipio. L’apertura della funicolare, nel 1887, migliorerà i rapporti tra le due parti della città, ma le fortune del Sociale tenderanno ugualmente a declinare. Una spia significativa di quel declino fu la sostanziale marginalità del Sociale alle celebrazioni donizettiane del 1897 che ebbero invece nel Riccardi e in Città Bassa centro e sfondo. Attorno al 1900 e nel primo decennio del secolo la sala (sottoposta a restauri nel 1902, visibili nella stagione 1903; poi nel 1907, per il 1908) aprirà anche a generi nuovi come l’operetta (1898, dal 1908), o addirittura a esibizioni di moderna tecnologia quali il grammofono (1898) e il cinematografo (dal 1908) che, se in altre condizioni potrebbero essere segnali d’apertura alle novità, in quel contesto di vita sempre più difficoltosa appaiono come ripieghi su repertorî meno impegnativi. Buone stagioni si avranno ancora, nel 1915, e meno sporadicamente nei primi anni Venti (1921, 1922 e 1924): ma che per il Sociale fosse iniziata un’era nuova di prosperità, fu illusione di breve durata. Musica vi risuonò fino al 1929; gli ultimi spettacoli risalgono al 1932. La storia successiva è segnata soltanto da progetti di demolizione, avventuristiche intenzioni di riuso e continui passaggi di proprietà. Questo mentre l’abbandono e il degrado si fanno sempre più preoccupanti, almeno fino all’acquisizione dell’immobile da parte del Comune di Bergamo (1974) e ai lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza compiuti tra il 1978 e il 1981. Da allora, lo spazio ha ospitato soprattutto mostre d’arte ed esposizioni, sino alla definizione e all’inizio dell’intervento di restauro intrapreso per iniziativa congiunta del Comune e della Sovrintendenza a partire dal 2006.
Indirizzo
via Bartolomeo Colleoni, 4. Bergamo (BG) – Città Alta
Contatti
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