Fu allievo di Alessandro Marinelli e di Guglielmo Mattioli all’Istituto musicale “Gaetano Donizetti” di Bergamo, dove conseguì brillantemente i diplomi di pianoforte e di composizione per banda. Diplomatosi poi in composizione superiore a Parma e perfezionatosi a Salisburgo, fu dapprima direttore di formazioni bandistiche a Busca nel Cuneese e a Breno in Valcamonica e quindi direttore, dal 1909 al 1920, dell’Accademia Tadini di Lovere, con un intervallo dovuto alla sua chiamata alle armi durante la Guerra Europea. Per un anno fu poi docente di canto gregoriano e di storia della musica all’Istituto “Donizetti”, che dovette abbandonare avendo rifiutato di aderire al fascismo.
Compose le seguenti opere liriche: “Redenzione”, rappresentata con successo nel 1909 al Teatro Grande di Brescia, “Alba di Roma”, eseguita in forma di concerto a Milano nel 1911 e salutata con vivi consensi dai critici musicali, “La Vampa”, andata in scena nel 1919 con ottimo esito al Teatro Donizetti di Bergamo; compose anche “Astelia” e “Diatestè”, che non furono mai rappresentate. Lasciò arie da salotto e composizioni per pianoforte, per orchestra e per formazioni cameristiche; scrisse anche pezzi sacri, che eseguì all’organo durante le Messe dell’Artista in Santo Spirito a Bergamo.
Tratto da “L’Eco di Bergamo”, articolo a firma di R.Clemente
“Di lui le cronache musicali più accorte (riferimenti d’obbligo il libro di Angelo Geddo sulla musica a Bergamo, e la storia della musica bergamasca di Pierluigi Forcella) ricordano due opere liriche di successo: La vampa, presentata nel settembre 1919 con grande eco al teatro Donizetti, e, dieci anni prima, La redenzione sua opera prima eseguita al Teatro Sociale di Brescia, un dramma in tre atti di cui esistono ancora tre quadri con le scene. Applausi scroscianti, teatro esaurito, riscontri di critica positivi (su La Valcamonica, La Provincia di Brescia, Il Giornale, Il cittadino di Brescia e anche L’Eco di Bergamo). Un successo che provocò anche la richiesta di rappresentare l’opera al Donizetti, anche se non venne realizzata per motivi economici. Compose però anche altre opere, e ancora Messe, cantate, musiche da camera.
La vicenda umana, oltre che artistico-biografica di Ravelli è interessante, e per questa si rimanda alla biografia della figlia Anna Ravelli, (Il maestro Alessandro Ravelli: una vita per la musica, 2001). Solo un paio di ragguagli. Da ragazzo accompagnava le messe all’organo, ma venne scherzosamente redarguito dal parroco perché distraeva i fedeli con la sua destrezza. Non ebbe vita facile: a soli 17 anni si trovò senza genitori (orfano di madre da tempo, il padre che se ne era andato), con due fratelli più piccoli, e fu accolto dai nonni.
All’avvento dell’epoca fascista, non avendo aderito al partito, gli fu impedita qualsiasi attività musicale, sia concertistica sia didattica, ed ebbe il divieto di eseguire i suoi lavori. Allora insegnava storia della musica (dal 1921) all’istituto musicale cittadino Donizetti e si reinventò una professione come agente di commercio, facendo non poca fatica. Ravelli la musica l’aveva nel sangue, non solo perché il nonno materno e la madre praticavano i pentagrammi, ma perché tutto il suo studio giovanile e le sue scelte di vita parlano in questo senso: a poco più di 25 anni aveva completato gli studi per essere un musicista completo: con il maestro Alessandro Marinelli si diploma in pianoforte e con Guglielmo Mattioli in composizione strumentazione per banda, direzione di coro e organo.
Quando il 14 settembre 1971 cessò la sua esistenza, Marcello Ballini dalle colonne de L’Eco di Bergamo scriveva: «Scompare Alessandro Ravelli, il decano della schiera di musicisti bergamaschi, che fecero onore alla loro terra».
E affianca il suo nome a Alessandro Marinelli, Guglielmo Mattioli (suoi maestri), Emilio Pizzi, Edoardo Berlendis e Vincenzo Gusmini. La produzione di Ravelli è copiosa, e molto più del pubblicato (tra cui la sinfonia-poema sinfonico «Impressioni di montagna», eseguita dall’Orchestra della Scala al Donizetti il 1918, le opere Alba di Roma, Astelia, e la commedia Diatestè, del 1946). Quale lezione da un musicista come Ravelli? Diremmo la dedizione appassionata e onesta, competente e accademicamente ineccepibile. Anche negli ultimi anni, oltre che vivere di pianoforte e di composizione, si teneva aggiornato: viveva la musica come equilibrio tra estro e rispetto delle regole.”